Testimonianza dell'esperienza di Oscar Wilde nel carcere di Reading scritta dal suo guardiano
"Ricordo,
prima che venisse trasferito dal carcere di Wandsworth, che il
direttore del carcere di Reading ci disse: - Verrà trasferito qui un
certo prigioniero, e dovreste essere fieri che la Commissione delle
prigioni ha scelto Reading come la più adatta per l'ultimo periodo di
detenzione di quest'uomo. -
Il
direttore non ci disse il nome, ma appena il prigioniero arrivò,
capimmo che c.3.3., il suo numero di prigioniero, che avrebbe in seguito
reso famoso firmando con quel nome la Ballata del carcere di Reading, era Oscar Wilde in persona.
Venne
probabilmente trasferito da Wandsworth perchè non sopportava i lavori
che il regolamento assegnava ai prigionieri della sua classe. Una o due
volte era stato accusato davanti al direttore di pigrizia nella raccolta
della stoppa o di aver parlato.
Ricordo
la mia prima impressione dell'ex idolo letterario di cui ora tutti
parlavano in modo infamante. Un uomo alto, con la testa grossa e le
guance grasse, cascanti, i capelli che si arricciavano in modo
romantico, e negli occhi uno sguardo senza speranza: ecco Oscar Wilde
come lo vidi la prima volta.
Neppure
l'orrendo vestito di carcerato, o il suo numero, c.3.3., che portava
come un marchio di infamia, potevano nascondere del tutto la naturale
distinzione e la forza intellettuale che lo innalzavano molto al di
sopra di quel "branco di bruti" come in seguito avrebbe amaramente
descritto i compagni di prigione e se stesso. Fin dall'inizio ci
rendemmo conto che era assolutamente inadatto al lavoro manuale, o a
qualsiasi fatica, e lo trattammo di conseguenza.
Non
sapeva fare niente, se non scrivere, e in genere non c'è molto spazio
per scrivere in prigione. Ma, in grazia della sua precedente grandezza,
gli venne fatta una piccola concessione, e gli fu permesso di leggere e
scrivere quanto voleva.
Se
questo non gli fosse stato concesso, credo che sarebbe deperito fino a
morire. Era così diverso dagli altri uomini. Era soltanto cervello,
ecco.
Quando arrivò aveva i capelli lunghi e ricci, e gli venne subito ordinato di tagliarli.
Toccò a me come guardiano capo eseguire l'ordine, e non lo dimenticherò mai.
A
Oscar Wilde sembrava che a tagliargli i capelli, riducendolo così allo
stesso livello degli altri prigionieri dal cranio rasato, fosse l'ultima
goccia della coppa di dolore e degradazione che doveva bere fino
all'ultimo.
"Bisogna
proprio tagliarli?" mi disse gemendo penosamente. "Non sapete cosa
significhi per me" e le lacrime gli scorrevano giù per le guance.
Sembrerà
ridicolo a quanti non sanno, come io so, che carattere curiosamente
complesso fosse quello di Oscar Wilde, ma a me si spezzava il cuore al
pensiero di dover essere quello che gli infliggeva l'ultima vergogna. I
guardiani hanno dei sentimenti, anche se i loro doveri non gli
permettono sempre di rivelarli.
Il
solo lavoro assegnato a Wilde fu quello di "assistente maestro"; più
che un lavoro, era un grande privilegio, perchè significava che poteva
occuparsi dei libri, andare con i libri dagli altri prigionieri e
scegliere per sé quelli che preferiva. Strano a dirsi, se si pensa alla
sua natura letteraria, non riuscì a svolgere in modo soddisfacente
nemmeno questo lavoro.
Restava
quasi sempre in cella, con i suoi libri, e ne aveva anche in buona
quantità, libri di poesia e di autori stranieri. Sulla tavola c'era
sempre un libro manoscritto - pieno di parole scritte in una lingua
straniera - francese o italiano, credo, e Wilde sembrava spesso occupato
a scrivere in questo manoscritto.
Credo si trattasse del De Profundis, l'opera di confessione che è stata appena pubblicata.
Dovette
continuare a tenere i capelli cortissimi fino a cinque mesi circa prima
della liberazione, e ricordo che aria contenta aveva, quando gli venne
detto che non era più necessario il taglio da prigioniero perchè il suo
rilascio era imminente. E pensare che era così difficile vederlo
sollevare la testa piegata dalla vergogna e sorridere.
Wilde era superstizioso, e ricordo un fatto che sta a dimostrare come fossero fondate le sue paure superstiziose.
Stavo
pulendo le pareti della sua cella, perchè lui seguiva raramente i
regolamenti carcerari che prevedevano di tenere scrupolosamente pulita
la propria cella, e spaventai un ragno, che sfrecciò sul pavimento.
Mentre stava per nascondersi, alzai il piede e lo schiacciai, e in quel momento vidi Wilde che mi guardava con orrore.
"Porta sventura uccidere un ragno" mi disse. "Avrò brutte notizie, peggiori di quante ne abbia mai avute finora."
In
quel momento non badai alle sue parole, ma la mattina seguente gli
portarono la notizia che sua madre, che amava e onorava sinceramente,
era morta e che la vergogna del figlio ne aveva accelerato la fine.
La
storia più triste che so di Wilde è il giorno in cui venne l'avvocato
per fagli firmare, credo, dei documenti per il divorzio, che in quei
giorni la moglie aveva chiesto: procedimento che naturalmente Wilde non
approvava.
All'insaputa di Wilde, sua moglie aveva accompagnato l'avvocato, ma non voleva che il marito la vedesse.
L'incontro con l'avvocato avvenne nella sala visite, e Wilde sedeva su un tavolo di fronte al legale, con la testa tra le mani.
Fuori, nel corridoio insieme a me, aspettava una triste figura in lutto stretto. Era la signora Wilde, in lacrime.
Mentre
l'incontro con l'avvocato andava avanti, la signora Wilde si voltò
verso di me e mi chiese un favore. "Mi lasci dare soltanto un'occhiata a
mio marito" disse, e io non seppi dire di no.
Così
mi feci silenziosamente da parte, la signora Wilde guardò a lungo nella
stanza, come se il suo sguardo non potesse staccarsene, e vide il poeta
prigioniero che, in preda a profonda angoscia, non sapeva che altri
occhi, oltre ai miei e a quelli del severo avvocato, fossero testimoni
della sua degradazione.
Un istante dopo, la signora Wilde, profondamente commossa, si allontanò e lasciò la prigione insieme all'avvocato.
Immagino
che Wilde, quando la moglie lo vide, stesse mettendo la firma
definitiva sui documenti di divorzio, e non so se lei rivide mai il suo
sventurato marito. Credo di no.
Nell'ora
d'aria, quando camminava su quella che chiamava "la parata egli
sciocchi" con i suoi compagni della "Brigata del diavolo", stava sempre
con la testa curva, come se meditasse, e di solito borbottava brani di
prosa o di versi dei suoi autori preferiti.
Provava
molto interesse e comprensione per le sofferenze e i guai degli altri
prigionieri, e parlò con grande asprezza di quella che definiva la
brutalità del sistema carcerario, quando una guardia venne sospesa e poi
licenziata perchè aveva messo dei biscotti nella cella di un giovane
prigioniero che Wilde pensava stesse piangendo dalla fame...
Wilde
mi disse che i momenti in cui la campana suonava, e la sua
immaginazione vedeva la scena dell'esecuzione, erano i più terribili in
un periodo così ricco di orrori.
Ho sempre trovato Wilde molto gentile e di buon carattere e scrisse parecchie piccole cose per me ...
Come
guardiano, mi levo il cappello alla memoria dello scrittore, che, con
la sua triste morte prematura, ha ora messo a tacere tutti quanti hanno
criticato la sua condotta e si sono rallegrati della sua caduta.
-resoconto dei suoi anni di prigionia tratto dal "Bruno's Weekly" del 22 gennaio 1916 -
(da AUTOBIOGRAFIA DI UN DANDY - Ed. Oscar Mondadori - traduzione a cura di Anna Luisa Zazo)
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