• la rovina

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Di seguito uno stralcio tratto da un articolo di James Joyce apparso sul "Piccolo della Sera" di Trieste (24 marzo 1909) e scritto in italiano dall'autore.

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"...solo con la rappresentazione delle sue commedie brillanti  Wilde entrò nella breve fase penultima della sua vita: il lusso e la ricchezza. Il Ventaglio di Lady Windermere prese Londra d'assalto[...] Diventò un arbitro di eleganze nella metropoli e la sua rendita annua, provento dei suoi scritti, raggiunse quasi il mezzo milione di franchi. Sparse il suo oro fra una sequela di amici indegni. Ogni mattina acquistò due fiori costosi, uno per sé, l'altro per il suo cocchiere; e persino il giorno del suo processo clamoroso si fece condurre in tribunale nella sua carrozza a due cavalli con il cocchiere vestito di gala e con la staffiere incipriato.
   La sua caduta fu salutata da un urlo di gioia puritana. Alla notizia della sua condanna la folla popolare, radunata dinnanzi al tribunale, si mise a ballare una pavana sulla strada melmosa. I redattori dei giornali furono ammessi all'ispettorato e, attraverso la finestrina della sua cella poterono pascersi dello spettacolo della sua vergogna. Strisce bianche coprirono il suo nome sugli albi teatrali; i suoi amici lo abbandonarono; i suoi manoscritti furono rubati mentre egli, in prigione, scontava la pena inflittagli di due anni di lavori forzati. Sua madre morì sotto un nome d'infamia; sua moglie morì. Fu dichiarato un istato di fallimento, i suoi effetti furono venduti all'asta, i suoi figli gli furono tolti. Quando uscì dal carcere i teppisti sobillati dal nobile marchese Queensberry l'aspettavano in agguato. Fu cacciato, come una lepre dai cani, da albergo in albergo. Un oste dopo l'altro lo respinse dalla porta, rifiutandogli cibo e alloggio, e al cader della notte giunse finalmente sotto le finestre di suo fratello piangendo e balbettando come un fanciullo.
   L'epilogo volse rapidamente alla sua fine e non vale la pena di seguire l'infelice dalla suburra napoletana al povero albergo nel quartiere latino ove morì di meningite nell'ultimo mese dell'ultimo anno del secolo decimo.
Non vale la pena di pedinarlo come fecero le spie parigine: morì da cattolico romano, aggiungendo allo sfacelo della sua vita la propria smentita alla sua fiera dottrina. Dopo aver schernito gli idoli del foro, piegò il ginocchio, essendo compassionevole e triste chi fu un giorno cantore della divinità della gioia: e chiuse il capitolo della ribellione del suo spirito con un atto di dedizione spirituale.

[...]  (James Joyce)

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